Si è conclusa da poco la quinta edizione della Milano Wine Week, l’evento che ogni anno riunisce produttori, addetti ai lavori, consumatori e appassionati del vino in Italia.

Tra dibattiti, lezioni e degustazioni per i più fortunati, anche quest’anno non sono mancati momenti di riflessione sull’attuale mercato italiano e sulle previsioni per gli anni a venire.

Dopo oltre due anni di pandemia, i principali indici di mercato fotografano una crescita graduale per un settore che oggi conta 255.000 le aziende viticole un fatturato di oltre 14,2 miliardi di euro, con una previsione positiva che lo guiderà verso i 19 miliardi di euro nel 2025.

Pronostici ottimisti in conflitto con le notizie degli ultimi giorni che vedono le aziende agricole protagoniste di dibattiti sulle sorti del vino italiano. Caro bollette e aumento dei costi di produzione sono le principali fonti di preoccupazione degli imprenditori. Si parla di una falla da 1,5 miliardi di euro, ma al momento dall’Unione Europea non sono previste misure di emergenza per il settore.

Tralasciando l’aspetto economico e politico che resta senza dubbio fondamentale, ma rispetto al quale c’è ancora grande incertezza, c’è un altro dato interessante sul quale possiamo fare qualche riflessione, e che è emerso proprio durante la settimana milanese del vino. 

Giovani e vino: qual è la percezione che Millenial e GenZ hanno della comunicazione dei wine brand?

Ne ha parlato venerdì scorso a palazzo Bovara il gruppo Carrefour, davanti a una platea di giornalisti e curiosi, sulla base di un’approfondita ricerca ad opera di SWG, “ANNATA 2.0 – IL VINO PER I NATIVI DIGITALI”.

Le analisi sono state condotte su un campione esiguo (1000 intervistati) ma appaiono in ogni caso rappresentative di un’evidenza che le aziende vitivinicole non possono più ignorare. 

I giovani hanno voglia di apprendere ma molto spesso si trovano davanti a brand che non hanno interesse a raccontare.

Spesso il posizionamento alto dei grandi player del mondo wine li rende estremamente autoreferenziali e impedisce agli stessi di leggere e sfruttare le potenzialità di un dialogo con la propria community. E d’altronde il content marketing è come il primo appuntamento: se si passa a parlare soltanto di sé, non ce ne sarà un altro.

A tal proposito, tra i presenti alla tavola rotonda voluta da Carrefour la produttrice abruzzese Viviana Velenosi è intervenuta dicendo:

La comunicazione troppo autoreferenziale, troppo b2b, troppo elitaria non funziona più. Da una parte abbiamo un giovane consumatore affascinato dal mondo del vino che cerca un approccio, dall’altro i produttori. A questo punto è compito loro avvicinarsi ai giovani in modo più smart, educandoli”.

In sintesi i dati della ricerca parlano di giovani appassionati che vogliono uno storytelling meno impostato e più denso di informazioni.

Contenuti più vicini ai giovani winelovers

Ma quali caratteristiche dovrebbero avere i contenuti che le aziende produttrici di vino potrebbero creare per attrarre sempre di più GenZ e Millenial? 

Quando parliamo di content marketing parliamo di contenuti che offrano all’utente almeno 3 plus:

  1. Utilità. Per essere utile un contenuto deve riportare informazioni interessanti, insight che aiutino l’utente a comprendere meglio un vino, un metodo o come effettuare un acquisto o una prenotazione. Che sia realizzato per spiegare il concetto di denominazione o semplicemente per veicolare uno sconto o una visita in cantina, il contenuto avrà la sua utilità. Per questo sarà apprezzato e riconosciuto appunto come utile dal target di riferimento.
  1. Efficacia. Un contenuto di qualità deve essere efficace, cioè deve rivolgersi al pubblico giusto, con il giusto tono e nei giusti luoghi. Se l’obiettivo per esempio fosse l’aumento del numero di visitatori in cantina, i contenuti dovrebbero descrivere molto bene l’esperienza, le sue caratteristiche, la durata, il prezzo, i vantaggi finali e le modalità di prenotazione e contatto. Se il contenuto non soddisfa queste esigenze non otterrà l’attenzione delle persone che quindi non compieranno l’azione che ti aspetti.
  1. Last but not least, il valore. Il tuo post che tipo di miglioramento offre all’utente che lo consuma? Che tipo di vantaggio in termini di conoscenze ed esperienze? Dopo che un utente ha visto e interagito con un contenuto di valore, non sarà più lo stesso. Avrà acquisito una conoscenza che prima non aveva o, molto più semplicemente, si troverà in una situazione emotiva diversa da quella di partenza. Un contenuto di valore può essere anche un post che ha l’obiettivo di divertire o di emozionare. E poi il valore ha la capacità di stimolare le conversazioni e la condivisione, che, ricordiamolo, resta uno dei principali kpi della comunicazione brand awareness.

Dialogare con la propria community è un valore aggiunto

È chiaro che il posizionamento strategico deve guidare le scelte di presidio dei canali social e quelle relative alla content strategy. Ma è pure vero che:

  1. Dialogare con i propri follower e provare a soddisfare le loro richieste creando contenuti di valore, coerentemente con la propria brand identity, non abbassa il prestigio di un brand. Anzi, lo rafforza;
  2. Un (giovane) follower oggi, un potenziale consumatore domani.

Iniziare a cercare un dialogo con i giovani winelovers permetterebbe alle aziende, anche quelle più in alto nella piramide di posizionamento, di rafforzare la brand awareness e acquisire la loro fiducia. Di prepararli cioè all’acquisto di un prodotto che oggi potrebbe non essere alla loro portata per prezzo e complessità, ma che domani, coltivando, educando, informando potrebbe diventarlo.

Tu cosa ne pensi?

fonti: https://businessweekly.it/notizie/quanto-vale-il-settore-vitivinicolo-in-italia/
https://winenews.it/it/vino-e-politica-dallunione-europea-per-ora-non-sono-previste-misure-di-emergenza-per-il-settore_480135/

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