La doppia reputazione

14 Ott 21 | Reputation

Negli ultimi anni c’è stato un vero e proprio boom del tema della reputazione, entrata nel gergo di direttori marketing, politici, digital officer e un po’ di tutti coloro che lavorano su brand e media relations. Sono nati istituti, servizi di monitoraggio, agenzie specializzate. La reputazione è un servizio davvero trasversale che va dagli “ottimizzatori”, ai “gestori” ai “difensori” coinvolgendo agenzie di comunicazione, piattaforme tecnologiche, media e perfino studi legali.

All’improvviso ci siamo accorti che la gente parla dei prodotti e che, sorpresa sorpresa, le opinioni dei consumatori influenzano le opinioni dei consumatori e, alla fine, magari, anche le decisioni. La “scoperta della reputazione” presenta vari aspetti degni di riflessione. 

Per prima cosa l’adozione d’impeto di pratiche di misurazione e gestione della reputazione ha comportato l’assenza di prospettiva storica, pensando che la reputazione sia inerente all’ambito digitale, quando questo ne è solo (l’ultimo) amplificatore o moltiplicatore. 

“Markets are conversations”
(Cluetrain Manifesto, 1999)

Dettaglio copertina libro

Secondariamente questa urgenza subitanea ha comportato l’emergere di tecniche e metodologie prive di approfondimento scientifico, fondativo o evolutivo, con risultati spesso superficiali. Infine il dato reputazione emerso da queste pratiche tende a vivere da solo, scollegato da altre informazioni o strategie aziendali.

Una scoperta (dell’acqua) calda.

Che le conversazioni e i “rumores” fossero antichi quanto l’uomo è cosa nota. Nella suburra romana o nei mercati antichi ogni banchetto aveva la sua “reputazione” nata dalle conversazioni. Nella foresta digitale, dove ogni “nodo” della rete con i suoi cavi/radici comunica con mille altri le conversazioni si moltiplicano e si estendono, a livello globale.

“Multis lingua nocet, nocuere silentia nulli.
“La parola nuoce a molti, il silenzio a nessuno”
(Proverbio latino)

Le conversazioni tra cittadini, consumatori, elettori e la reputazione che ne discende su un prodotto, luogo, uomo pubblico nascono con la vita sociale e non sono certo un effetto della rete, anzi, il suo successo dipende proprio forse dal desiderio o necessità di confronto. Ciò che collega reputazione. E Rete è il salto esponenziale che queste dinamiche hanno fatto nel giro di pochissimi anni. Se uno di noi poteva confrontarsi, parlare, “chiacchierare” con un numero molto limitato di persone e non lasciare traccia di questa conversazione con l’avvento del web possiamo dialogare, conversare, comunicare con ognuno dei 7 miliardi di abitanti del pianeta e le nostre conversazioni restano tutte accessibili e tracciate. Non sono più goccioline sparse, ma un fiume in piena: la differenza tra una doccia e uno tsunami.

Resta però importante capire che esse rispondono a un istinto primario dell’uomo e che non nascono in rete, ma in rete solamente vengono in superficie.  Ciò ci mette in una prospettiva tale per cui la misurazione della reputazione non è (più) solo un fatto “digitale” Non inizia, né finisce online. L’online ne rappresenta la parte più visibile e forse più ampia, ma anche questo andrebbe capito, quanto l’iceberg sia emerso o sia ancora sommerso. La prima considerazione che possiamo trarne è che una strategia di reputation tracking o management dovrebbe avere radici tanto online quanto offline. Nei punti vendita, nelle piazze, nei mezzi di trasporto. Poi non spontanee che solo pochi traducono in post, tweet, stories. Il pudore o lo scarso alfabetismo digitale ne fanno restare probabilmente molte offline. Ascoltare anche quelle conversazioni, più difficili da rilevare e tracciare, forse, ma non meno importanti, anzi.

C’è modo e metodo.

Una seconda sfida che spesso nemmeno cogliamo, forse per la fretta o per i tempi serrati della reputazione, è quella di una esatta misurazione e interpretazione della reputazione. Il primo limite lo abbiamo appena visto, tendiamo a misurare la reputazione esclusivamente nella sua parte più “emergente” e visibile, quella delle conversazioni online, mentre non accediamo, vediamo, analizziamo le conversazioni più intime, spontanee, quotidiane. Sono anche molte altre, però, le dimensioni che non misuriamo o le interpretazioni forse troppo superficiali che si tendono a fare.

“La calunnia è un venticello […]
Leggermente, dolcemente, incomincia a sussurrar […]
lo schiamazzo va crescendo, Prende forza a poco a poco,  […]
Vola già di loco in loco, Sembra il tuono, la tempesta […]”
(Il Barbiere di Siviglia)

Raramente, ad esempio, si traccia l’evoluzione, il trend della reputazione. Solitamente si procede a “scatti” mensili o settimanali, o comunque periodici. Questo mese si dice, o meglio si è detto. Non funziona così, però, la reputazione che è variabile e volubile come un fenomeno meteorologico. Le 100 opinioni critiche di questo mese sono state 3 al giorno o 99 in un giorno solo? E se a posteriori è facile saperlo, è saperlo prima che fa la differenza, avere la capacità predittiva se le 3 critiche del giorno “X” diventeranno rapidamente 6, 9, 18, 100 o resteranno tali. Misurare il trend del sentiment in tempo reale consentirebbe di orientare la comunicazione in modo efficace quanto tempestivo e di intervenire con il contenuto giusto, nel posto giusto, ma soprattutto nel momento giusto. 

Il sentiment insomma è una materia viva, da osservare come un film, non come una serie di Polaroid a intervalli fissi. 

Altrettanto difficile e molto spesso arbitrario è il modo in cui diamo una valenza al sentiment. Positivo, negativo, neutro. Chi lo stabilisce? (Hint:  lo stagista della vostra agenzia). In base a quali criteri? (Hint: nessuno o la presenza di parolacce al massimo). Al dashboard di analisi delle conversazioni, insomma, occorre fare un lavoro più di fino, strategico. Limitarsi a contare gli arrabbiati e i contenti è un esercizio elementare, utile, sì, ma limitato. Capire i propri clienti, elettori, constituents richiede un esercizio di marketing anthropology di cui si sta cominciano a parlare con la Netnography, lo studio delle conversazioni e opinioni online fatto mutuando tecniche etnografiche e antropologiche e applicandole al web.

C’è reputazione e reputazione

Una ulteriore dimensione che spesso viene trascurata è quella delle diverse reputazioni che una azienda, un brand, un prodotto o servizio o personaggio può avere. Non tutti pensano di voi la stessa cosa. La vostra vicina di casa può trovarvi insopportabile a causa del vostro cane, mentre il vostro collega amabile e disponibile. Pensare che la reputazione di una entità complessa e ampia come una marca o una azienda abbia una unica e univoca reputazione è una illusione o forse, anzi, un abbaglio. Anch’esso dovuto a metodologie semplici o semplificate che finiscono per “fare una media” delle tante, diverse reputazioni che la stessa azienda, lo stesso brand, lo stesso prodotto, servizio, o personaggio possono avere preso comunità o target diversi. Una istituzione locale può essere vista come benemerita dai concittadini della comunità stessa e come chiusa o possessiva dai vicini o dagli esterni. Uno stesso prodotto può essere visto come buono dai bambini e malsano dalle mamme. O come economico e adatto per un certo target socio-demografici o improponibile per famiglie abituate a cibi raffinati o biologici. La media di queste reputazioni può essere una facile rappresentazione di una presunta, generica, universale reputazione di un prodotto, ma al tempo stesso rappresentare qualcosa che non esiste.  Ognuno di noi è una sola moltitudine, come diceva Pessoa. Perché non dovrebbero esserlo organismi complessi come le marche o le aziende? 

Verso una reputation strategy

Ecco allora che, anche ad una prima analisi, emerge come i nostri sforzi di misurazione, gestione, ottimizzazione, tracking, management della reputazione siano tutti nati d’impeto, siano figli di buone intenzioni, ma molto spesso si riducano in report frettolosi e scollegati col resto della vita delle nostre organizzazioni e dei loro interlocutori. Forse è arrivato il momento di passare alla fase 2. E cominciare a collegare e correlare la reputazione con:

– I target
– I trend temporali misurandoli in real time
– le conversazioni e opinioni offline non digitali 

…e probabilmente molto altro, ma già prendere contezza di queste tre dimensioni che, spesso, oggi sfuggono alla misurazione ci consentirebbe di potenziare le evidenze che ne risultano. 

 

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